Intervista doppia alla voce e alla fisarmonica dei Truma: Riccardo Vianello e Michele Tiengo

Riccardo e Michele sono quel che si dice una bella coppia: l'uno alto, fulvo, carismatico e col pizzetto; l'altro basso, coi capelli rasati a zero, riflessivo e il mento pulito. Una coppia di quelle da film o da romanzo: don Chisciotte e Sancho Panza? Riccardo è la guida del gruppo già da prima della sua fondazione ufficiale. Eh già... perchè prima che i Truma nascessero esistevano i Revolution, dove sono nate alcune canzoni molto note come Il mare. Quando quell'esperienza volgeva al termine Riccardo andò fisicamente a suonare alla porta di Michele, fisarmonicista, per invitarlo a suonare insieme. La loro affiata amicizia superò la fine del gruppo precedente e furono loro le colonne portanti del nuovo gruppo folk che ben conosciamo: i Truma. Chissà quali sono i loro segni zodiacali!

Francisco (F): cosa vi spingeva a far nascere un'esperienza così originale?

Riccardo (R): Io sono l'autore dei testi e di molte musiche. A volte ho notato il rischio di parlare di immagini ed esperienze che non ti appartengono, filtrate dall'esperienza degli altri. Io volevo trattare di qualcosa di profondamente personale. Inoltre mi ero appassionato a scrivere in dialetto. Non cercavo "temi" su cui sbrodolare ma volevo scattare "istantanee" della nostra vita quotidiana. Così nacquero Truma, Ca' Roman, Vegia, La Marea. Poi l'esperienza dei Revolution finì e con Michele iniziammo a provare con amici musicisti di Chioggia, ben 15 anni fa. Arrivano Renato Naccari, il bassista, Maro Chiereghi alle percussioni, Giuseppe Fedrigo al mandolino e chitarra. Per ultimo arriva Riccardo Gigo, il nostro violinista. Il nome del gruppo diventa Truma. Truma è quel fango denso che costituisce il substrato vitale della laguna. Si suona dal vivo, con piacere, per anni. Poi si arriva a registrare il primo album per delle coincidenze favorevoli: Marco ha uno studio di registrazione e con lui facciamo il primo disco "Truma".

Francisco: Il disco viene recensito entusiasticamente da Enrico Veronese che lo spedisce in giro alle riviste specializzate. Così si comincia a parlare di loro e si esce dal circondario. Mentre suonano in un festival a Faenza vengono segnalati al Premio Tenco. Siamo nel 2016 e la popolarità guadagnata ci convincono che questo lavoro di recupero e trasmissione in dialetto delle proprie radici è importante. Quando nel 2018 registriamo il secondo album c'è subito una buona accoglienza nel circuito del folk, a cui anche i giovani cominciano a interessarsi. Forse in un momento di forte globalizzazione forse il bisogno di radici si fa sentire.

Perchè solitamente scegli di cantare in chioggiotto e altre in italiano?

Riccardo: Forse la distinzione tra dialetto e lingua è una questione di accademia. Per fare la lingua ci vogliono strutture, una storia letteraria ecc. mentre il dialetto è veloce, sintetico. Per un purista il nostro dialetto non è ligio alla tradizione. La mia personale ricerca è di inserire nel parlato contemporaneo qualche detto dei nostri vecchi. Le canzoni nascono in una certa lingua e così restano negli anni.

Michele: tradurre tutto in dialetto o viceversa sarebbe una forzatura, cambierebbe il senso, non ne vale la pena.

Riccardo: Io voglio fare come degli scatti di Polaroid: il momento in cui è nata quella canzone è così e resta così. Una canzone è come un figlio, si prende così come viene. Ad esempio la canzone Il Mare è nata dalla musica del gruppo scozzese Waterboys vent'anni fa, a cui io ho messo il testo. In quel gruppo ci siamo riconosciuti perchè anche loro sono gente di mare. E' nata certo in un momento di esterofilia ma mi chiedevo perchè criticare a prescindere il porto in cui si è nati? Se ti immergi nel mare non pensi di poter essere "cittadino del mondo". Paradossalmente se ti confronti col mare hai bisogno di radici e identità forti. Viaggi, sì, ma portando con orgoglio la tua storia.

Francisco: "Spesso nelle canzoni ci sono rifermenti al "Destino" e il titolo del secondo album è "Per grazia ricevuta", c'è un riferimento esplicito alla fede cristiana?

Non facciamo riferimenti diretti a nessuna religione o fede. Il titolo dell'album riprende la formula degli ex voto di chi supera un momento difficile. Certo facciamo riferimento alla tradizione religiosa locale. E' tipico della nostra gente il rifugiarsi nella fede davanti all'incertezza del mare. Quanti Refugium Peccatorum a Chioggia? Mentre a Sottomarina veniva vissuto con un altro sentimento. Il destino c'è, perchè c'è il mondo della pesca. La canzone forse più significativa e personale è "Drento sta cuna". E' la canzone del 2005 che ho dedicato a mio padre dopo la sua morte. Lì ho espresso come il successo della pesca sia legato al destino: tu puoi costruire e lavorare ma è sempre il mare a farti avere successo o sventura. "Prima che il mare si faga tempesta" canto: bisogna sfruttare i momenti di calma per godersi la vita, gli affetti, magari ci si lascia un po' andare. Su tutto grava una grande incertezza del domani, senza tragicità ma come modo di vivere.

Michele: non c'è mai nelle nostre canzoni un'esaltazione leggera dell'amore romantico.

Riccardo: "Ghe zè pi stele che lagrime... no baste mai", il sentimento più puro diventa struggente, vero anche perchè affronta i dolori della vita, che sappiamo non essere rose e fiori.

Francisco: qui a Chioggia, a differenza anche della cugina Venezia, c'è un fortissimo rapporto coi defunti. Voi stessi avete scelto nel primo album una foto di un gruppo musicale di chitarre e mandolini, vostro ideale antecedente...

Riccardo: è la foto della banda in cui suonava mio nonno, seduto col mandolino. E' vero quel che dici, siamo molto diversi dai veneziani, commercianti e abituati a scambi internazionali mentre Chioggia è una città che vive nel suo guscio. Quando si parla dei parenti tutti conoscono molte generazioni all'indietro, la propria "genìa".

Michele: uan volta si sapeva che lavoro facevano gli avi. Il giorno dei morti si andava tutti in cimitero.

Riccardo: In Vegia c'è la preghiera dei pescatori a chi non è più tornato e anche quell'orecchino d'oro "per farse soterare", recupera l'abitudine dei marinai in giro per il mondo di avere oro addosso con la speranza che, se naufragheranno, chi troverà il loro corpo con il ricavato di quell'oro rimandi il corpo a casa. Quel grosso anello, una specie di vera, si dice s-ciona in dialetto chioggiotto.

Francisco: Michele come hai scelto di suonare la fisarmonica? Sembra uno strumenti d'altri tempi e poco attuale?

Michele: La fisarmonica è eccezionale perchè non è solo uno strumento solista ma con la mano sinistra tieni gli accordi, fai l'accompagnamento come fa l'organo in chiesa. E' vero che è ingombrante, io la chiamo comodino, un pezzo di legno che suona, che si apre, respira. Suono da quando avevo 13 anni. Ho imparato da privatista con vari insegnanti (Archimede Doni, Giulio Gardin) poi ho proseguito da autodidatta. Ho una tradizione familiare di musicisti: mio fratello la chitarra, il nonno il violino, un cugino la fisarmonica. Ho cominciato trovando in soffitta uno strumento appartenuto ad uno zio defunto. Era uno strumento giocattolo, non certo professionale, però mi è servito per cominciare. Ne ho anche io una in soffitta, pensate una fisarmonica diatonica del nonno. Poi ho suonato in varie orchestrine di liscio da balera. E proprio allora Riccardo ha suonato alla mia porta, saranno ormai 25 anni! Con lui c'è una stima reciproca, una grande collaborazione, non ci siamo mai lasciati da un punto di vista musicale, insomma è una buona amicizia.

Francisco: è vero che le canzoni sono tutte di Riccardo?

Michele: Sicuramente i testi e le idee principali sono di Riccardo che le porta alle prove e lì le sviluppiamo tutti insieme.

Riccardo: Ai tempi dei Revolution si registrava a Mestre, si partiva dal ritornello di solito e poi, sulla Romea di ritorno io e Michele ci ascoltavamo i nastri della serata valutando i punti forti e quelli da modificare. Oggi uso diversi software che ti permettono di sviluppare le idee a un buon punto. Con i Truma tutte le canzoni cambiano col passare del tempo, le interpretiamo in maniera diversa pur senza alterare il testo.

Michele: le canzoni non sono mai ferme. Nei live si cambia, dipende dalla situazione, dal rapporto che si crea con il pubblico.

Riccardo: Bob Dylan suona sempre le stesse canzoni ma le rifà spesso, cambia la linea melodica. Dal vivo è una magia: cambi in corsa la scaletta, cerchi quello che è più adatto al momento.

Michele: E' quello che più ci manca, poter fare un concerto, dove c'è il pubblico vero. C'è bisogno di raccontare, di spiegare fuori Chioggia il dialetto, i riferimenti che non sono ovvi.

Riccardo: Ai concerti porto la nostra città, cerco di far innamorare le persone! Ho bisogno di raccontare, di dialogare col pubblico.

Francisco: Che programmi avete a breve? C'è qualcosa che bolle in pentola?

Michele: Abbiamo in cantiere 5 o 6 canzoni nuove , da mixare. Il lavoro è andato molto a rilento per il Covid e per i nostri rispettivi lavori. Il violinista è di Rosolina e per mesi non è stato possibile provare insieme.

Francisco: Bene, allora ci sentiamo per il concerto acustico trasmesso da Palazzo Goldoni dell'11 febbraio prossimo su Radio Clodia!

A cura del prof. Francisco Panteghini
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